L’impiego di case in affitto, anche per periodi di tempo abbastanza brevi, è diventata un’alternativa molto utilizzata sia da coloro che si spostano per lavoro, che per chi desidera trascorrere un periodo di vacanza, od ancora per soggiorni ad intervalli limitati ma regolari.
Indipendentemente dalla meta e dalle finalità per cui ci si mette alla ricerca di case in affitto, ci sono degli obblighi che vanno rispettati, primo fra tutti quello di registrazione, che va fatto dal conduttore o dal proprietario (anche tramite un’agenzia se si affitta da privati passando per intermediari come spesso avviene nelle grandi città come Milano, Roma, o Bari, ecc).
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A riguardo va specificato che all’Agenzia delle Entrate, presso la quale va fatta la registrazione del contratto di locazione, non interessa che questa venga effettuata dal proprietario o dall’affittuario. L’importante è che avvenga entro 30 giorni dall’inizio del periodo di affitto (se è antecedente alla stipula del contratto di locazione) oppure dalla firma del contratto stesso (in questo caso non ha importanza la data in cui effettivamente inizierà la fruizione dell’immobile da parte dell’affittuario). Quindi si possono avere due situazioni:
Pagare una “rata” mensile a fondo perduto, per molti sembra uno spreco di denaro, ma non è sempre detto che sia più conveniente accendere un mutuo rispetto al pagamento di un affitto (vedi anche Come ottenere un mutuo prima casa).
Infatti, se da una parte, l’accensione di un mutuo costituisce un investimento, a meno che l’affitto non sia con la formula di “riscatto” o simili (vedi anche Rent to Buy), non sempre finisce con essere una buona scelta. Di contro se l’obiettivo è quello di accantonare dei soldi per poi passare ad acquistare un immobile più adatto alle proprie necessità, si raggiunge lo scopo più facilmente se ci si adatta a un affitto a prezzi ragionevoli (vedi anche Meglio comprare casa con mutuo o l’affitto?).
Con un mutuo infatti, per effetto del piano di ammortamento alla francese e del pagamento delle imposte, ci vuole normalmente una decade prima di riuscire a mettere un ‘piccolo capitale’ da parte.
Dal 2014 anche in Italia è stata introdotta una possibilità particolare che rappresenta una via di mezzo tra una casa in affitto e una sorta di “finanziamento” per diventarne proprietari: il Rent to buy. Se si stipula questo tipo di contratto il proprietario di una casa (spesso un costruttore), mette a disposizione del locatore l’immobile dietro pagamento di un canone mensile. Quest’ultimo è anche il futuro potenziale proprietario, in quanto nel contratto sono indicate le condizioni perché si passi dall’affitto al trasferimento di proprietà. Quindi ci sono due possibili effetti di questo contratto, che sono:
Attenzione: per legge il conduttore ha il diritto di acquisto ma non è obbligato a farlo.
Quindi il contratto dovrà specificare la parte del canone di affitto che serve per coprire il diritto di locazione, e la parte invece da versare nel caso in cui venisse esercitato anche il diritto all’acquisto.
Quindi da una parte c’è il vantaggio di poter ottenere una sorta di “dilazione” del pagamento del prezzo di acquisto, o almeno di una parte, senza dover accendere subito un mutuo. Ma attenzione, se si fa un contratto di mutuo il trasferimento di proprietà avviene subito (anche se c’è la garanzia reale alla banca) e di conseguenza si può decidere anche di vendere l’immobile. Viceversa nel caso del rent to buy, se non si esercita il diritto di acquisto, gli importi pagati come locazione, andranno persi come un normale affitto.
Se si sta valutando di acquistare un immobile per poi cederlo in affitto, allora bisogna considerare che si tratta sempre di un investimento di lungo periodo: dovranno passare infatti diversi anni prima che il ritorno economico tramite il pagamento del canone di locazione porterà l’operazione in “attivo”, sia che si decida di comprare con un mutuo o usando solo i propri risparmi.
Questo “limite” un tempo veniva compensato dalla crescita del valore immobiliare, ma negli ultimi anni il mercato ha vissuto un lungo periodo di stagnazione che rende anche questa possibilità poco plausibile. Inoltre c’è la componente fiscale, ovvero quella della tassazione che si applica sui canoni di locazione, per la quale si può scegliere la normale tassazione Irpef (quindi con applicazione dell’aliquota prevista dal proprio scaglione di reddito e applicazione delle varie imposte come quella di bollo e di registro), oppure la cedolare secca. Per quest’ultima però ci sono dei limiti di accessibilità, in quanto può essere utilizzata da chi:
li>rinuncia in qualità di proprietario all’aggiornamento del canone di locazione, in funzione della rivalutazione Istat o in funzione di eventuali clausole inserite nel contratto stesso.
La durata del contratto invece non ha effetti limitativi, in quanto in caso di case in affitto per brevi periodi, anche inferiori ai 30 giorni, si può sempre optare per il regime della cedolare secca (che mantiene comunque il suo carattere facoltativo).
La cedolare secca prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 21% sul canone di locazione annuo. Se però si tratta di un canone concordato allora l’aliquota scenderà al 15%. Stesso discorso se si tratta di contratti di locazione stipulati in quei comuni nei quali è stato proclamato lo stato di emergenza per calamità nei 5 anni antecedenti. Per la precisione fino alla fine del 2019 verrà applicata un’aliquota agevolata ulteriormente ridotta al 10% per poi passare al 15% dopo tale data.